Un robot che serve ai tavoli.
Oramai la tecnologia sta prendendo sempre più piede, contagiando un mondo che fino a ieri ci sembrava fin troppo povero, troppo semplice, troppo reale, troppo misero di scelte. Sotto un certo punto di vista tutto ciò ha un’utilità estrema, ci porta in luoghi sconosciuti, per essere persone con la capacità d’intelletto a nostro favore e poter, così, salvarlo, questo mondo, ma abbiamo anche la capacità di giudizio, verso noi stessi, la capacità di riconoscere quando fermarci, o no?
Dicevamo, un robot che serve ai tavoli: io, onestamente, faccio fatica a comprendere ciò che sta accadendo, un po’ perché sono sempre stata una “contadina”, come piace dire a me, e questo mi ha sempre portata a camminare sull’asfalto, anzichè una piattaforma digitale, ed un po’ perché è da una vita che sono nel mondo della ristorazione, quindi è una cosa che mi fa alquanto senso, vedere che al mio posto, adesso e nel futuro, ci saranno robot, eppure il cambiamento è crescita, il cambiamento è movimento, il cambiamento è rivoluzione, il cambiamento non è ignoranza, perché ci si apre ad un pensiero che di base non è il nostro, perché ci si sforza a conoscere anche, ma non solo, ciò che non fa parte di noi.
Così ho preso parte del mio tempo e l’ho riempito informandomi di un bagaglio decisamente pieno di “vestiti”, perché il web non è solo lo spostamento di materiale da una cartella sul pc, all’altra, ma è molto di più: sono corsi, aggiornamenti continui, studi all’interno del web marketing, dei brand, studi sulle strategie, su tutto ciò che ora come ora, per un’azienda, è necessario. Perché la realtà è che adesso abbiamo due mondi a cui doverci affacciare, non più solo il reale, e dato che, nonostante tutto, rimarrò contadina nel cuore, lo dico a mio modo: sono finita all’interno di un mondo nuovo, quello del web, in cui le mucche sono i clienti, i campi da arare i social ed i parassiti gli haters.
E chi, se non Francesco Ambrosino,aka Socialmediacoso, può raccontarci ciò che fino ad adesso ha visto nella realtà virtuale?
Eccoci nella realtà virtuale. Prima di vedere il presente o futuro coi tuoi occhi, torniamo un attimo al tuo passato: come hai capito che era il mondo a cui volevi fare parte? Come ti ci sei approcciato inizialmente?
Innanzitutto grazie per l’ospitalità. Venendo a noi, in verità io non amo parlare di realtà virtuale vs realtà “reale”, come se fossero due mondi separati. Non è così, online semplicemente proiettiamo ciò che siamo offline, quello che cambia sono i filtri e i freni che il vivere civile spesso (e per fortuna) ci impone.
Io sono stato completamente fuori dal mondo dei social fino al 2011, quando ho deciso di iscrivermi a Twitter che, all’epoca, si sposava meglio con il mio approccio: frasi brevi, condite da tanta ironia.
Dopo un po’ mi sono reso conto che i social non erano solo un buco della serratura attraverso il quale spiare il vicino di casa, ma una finestra sul mondo basata sul concetto di condivisione.
Ho capito, quindi, che se iniziavo a vivere il mondo dei social come un contenitore enorme di contenuti, potevo sentirmi a mio agio.
E così è stato.
In seguito, oltre ad esserti specializzato in Social Media Marketing, in Content Marketing ed in SEO Copywriting, hai iniziato a fare corsi, per chi volesse apprendere di più: cosa ti ha portato, questo, a livello di crescita personale? E perché hai deciso di insegnare?
Io vengo da questo mondo, l’azienda di famiglia nella quale ho lavorato per quasi dieci anni si occupava di formazione nel settore informatico , quindi per me è stato naturale.
Mi piace fare formazione, mi diverte da morire, sono cresciuto con l’idea che i mestieri necessitano di conoscenza e di competenza condivisa, e ho un grande rispetto per chi decide di acquisirle per migliorare come professionista e come essere umano.
Com’è giusto che sia, però, prima di organizzare i primi corsi ho cercato di accumulare esperienza nel settore, perché mi piace chi insegna a fare le cose e non la solita fuffa che puoi tranquillamente trovare in un libro o in un articolo di un blog.
Gli haters sono la peggior feccia del web, per te hanno mai rappresentato un problema?
No, per niente. Ho incontrato un sacco di coglioni, ma haters no.
A tutti quelli che si spacciano per blogger, o a tutti quelli che, invece, pensano di essere arrivati in cima per, ma non solo, una carenza di povertà, cosa vorresti dire?
Il mio settore ha un grande difetto, le barriere all’ingresso praticamente inesistenti. Chiunque può aprire un blog in 10 minuti senza avere un briciolo di competenza tecnica, e definirsi blogger. Lo stesso vale per i social media manager.
Io non sopporto le etichette, sono uno di quelli che non si è mai firmato in una email Dott. Ambrosino perché lo reputo stupido. Puoi definirti come vuoi, ma se non sai fare un cazzo ti sgamano in 5 minuti.
Chi ci casca, vuol dire che è più incompetente di te.
Le aziende ora hanno bisogno di qualcuno che curi il web marketing: la maggior parte della gente ora si direziona verso il web, ma se aziende piccole non se lo possono permettere, potrebbero andare verso il fallimento?
Ma assolutamente no! Il digital marketing è un mezzo, non è l’unico. Una pizzeria di quartiere probabilmente fa più ingressi con i volantini che non con una pagina Facebook.
Ogni strumento ha potenzialità e limiti, ecco perché non ci si può improvvisare in questo mestiere. Tutti possono aprire una pagina Facebook, pochi convertono davvero.
Mi ricordo una tua “frase” di poco tempo fa, ad un tuo corso, riguardo lo storytelling: “Cazzate!”. Questo perché chi vuole lavorare nel mondo del web, deve imparare a creare contenuti di valore, ma è totalmente inutile? In fondo è ciò che afferma lo stile di una persona, che cambia a seconda dell’individuo, no?
Ci sono tre cose che non sopporto nel mio settore:
- L’abuso della parola storytelling;
- L’utilizzo dell’espressione “contenuti di valore”;
- L’idea che si debba per forza fare real time marketing su tutto.
Vedi, lo storytelling è molto importante per chi, come me, ha studiato sceneggiatura cinematografica, e quando sento parlare molti miei colleghi o sedicenti tali mi viene l’orticaria.
Fare un video con tre frasi a effetto non è storytelling!
Lo storytelling è la capacità di veicolare un messaggio attraverso la costruzione di un senso condiviso, e non ha niente a che vedere con il mezzo utilizzato o il singolo contenuto.
Il tono di voce della Apple, ad esempio, è un esempio di storytelling, a prescindere dal tipo di contenuto prodotto.
La comunicazione della Redbull è storytelling, a prescindere dal contenuto.
Il visual sulla pagina Facebook non è storytelling, è al massimo content marketing.
I social, piattaforme virtuali in cui si creano interazioni, collaborazioni e sponsorizzazioni, sono usati bene dalle masse di persone che cercano e hanno continuamente bisogno di informazioni?
Le persone hanno perso di vista il grande dono che Internet rappresenta, ovvero una finestra sulla conoscenza.
Per me che non sono un nativo digitale avere internet ha significato accedere a informazioni in modo semplice e on demand.
I social, purtroppo, hanno creato dei recinti virtuali al cui interno vengono fatte confluire tutte quelle informazioni che rispondono a ciò in cui tu credi già, facendoci perdere la curiosità e la gioia del confronto.
Se parli solo con gente che è d’accordo con te, non cresci mai.
Per me, nella vita, vale la regola del “When the facts change, I change my mind. What do you do, sir?”, ma se i fatti con i quali mi confronto sono sempre gli stessi, non cambio mai.
E io odio l’inerzia mentale.
Tutto questo per arrivare ai clienti, e quindi alle mie mucche: nella maggior parte dei casi, sanno cosa vogliono? O devi direzionarli verso qualcosa a loro sconosciuto e quindi potenzialmente, se usato da loro, mortale?
Sanno cosa vogliono, ma vogliono cose sbagliate. Però non è colpa loro, è solo un problema di assenza di conoscenza del settore e delle sue dinamiche. Per noi consulenti la parte più difficile, ma anche più importante, è educare il cliente affinché capisca quali obiettivi perseguire e come raggiungerli.
Hai sudato per arrivare fin qui: lo cambieresti mai con un altro lavoro?
Non lo cambierei, anche perché me lo sono scelto. Però non credo che farò questo lavoro per tutta la vita, o almeno non così come lo faccio ora.
Sono irrequieto, devo crescere, altrimenti non mi diverto.
Progetti futuri (così mi tengo aggiornata al tuo prossimo corso)?
Di progetti ne ho sempre tanti, e non riesco mai a portarli avanti perché il lavoro mi fagocita. Una cosa sulla quale lavorerò nei prossimi mesi è il recupero della reputazione che ho costruito negli anni e alla quale, per varie ragioni, ha dato meno peso nell’ultimo periodo.
In questo mestiere conta moltissimo il personal branding, e credo sia giunto il momento di riprendere il discorso lì dove l’avevo lasciato.